Esiste davvero la selfite?
Riportiamo un articolo di Maura Manca su L’Espresso:
Ci mancava pure la selfite, termine usato per definire la patologia legata all’uso compulsivo dei selfie. Ormai non sappiamo più che termini pigliare per lanciare mode e definire patologie correlate all’uso indiscriminato dello smartphone. E’ indubbio che la mania di fare selfie sia estremamente diffusa, soprattutto tra gli adulti che ormai devono immortalare ciò che mangiano, i luoghi in cui vanno e dare immagine a ciò che fanno per poi mostrarlo ad un popolo di Facebook a cui decisamente non importa niente se non per criticare e giudicare e passare un pò del loro tempo. I ragazzi, invece, ormai sono scappati da Facebook perché popolato da adulti che postano in maniera indiscriminata ogni cosa che trovano in rete, dandola il più delle volte per buona, e si sono dedicati alle InstanStories e a tutto ciò che è a dissolvenza che, solo a detta loro, non lascia traccia.
Ma torniamo alla nostra selfite. Il bisogno ossessivo e compulsivo di scattarsi dei selfie e postarli sui social network è stato definito “selfite”, già dal 2014 in un articolo in cui si sosteneva che tale condizione dovesse essere classificata come vero e proprio disturbo mentale.
Fondamentalmente, più che di patologia, si tratta di UN USO PATOLOGICO E DISTORTO dello smartphone, degli autoscatti e delle condivisioni online, quindi nulla di così nuovo.
Quanti sono i ragazzi affetti da “selfite”?
Nella fascia tra i 14 e i 19 anni, i ragazzi fanno in media circa 5 selfie al giorno, contro i 2 selfie al giorno dei più piccoli delle scuole medie, con punte massime di 100 autoscatti. Gli adulti non lo so, ma sarebbe curioso fare i paragoni.
Ciò che fa riflettere e che è preoccupante è che si arriva a fotografare ogni momento della giornata, rischiando di perdere l’aderenza con la realtà: circa 2 adolescenti su 10 condividono TUTTI i selfie che fanno sui social network e su WhatsApp, andando a ledere completamente il concetto di privacy e di intimità, che ormai si è trasformata in un’intimità condivisa.
È indubbio che le vetrine dei social pennellino il narcisismo degli adolescenti, dove tutto è sottoposto alla severa valutazione della macchina dei “mi piace” o dei “non mi piace”.
Per oltre 3 adolescenti su 10, infatti, è importante il numero dei like ricevuti e, tante approvazioni, accrescono l’autostima e quindi la sicurezza personale, ma vale anche il contrario, ovvero commenti dispregiativi e pochi like condizionano l’umore e l’autostima in negativo. Il condizionamento dato dal numero dei like è talmente forte che non incide solo sull’umore e sull’autostima, ma comporta anche una maggiore insoddisfazione verso il proprio corpo, spingendo questi ragazzi a trovare strategie di ogni tipo per apparire più belli e ricevere approvazione. Il 13% dei ragazzi, ha addirittura seguito una dieta per piacersi di più nei selfie e circa la metà ritoccherebbe il proprio corpo con la chirurgia estetica e ha assunto farmaci o altre sostanze per perdere peso.
Esiste davvero la “selfite”?
In un recente articolo di Balakrishnan e Griffiths del 2017 pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Mental Health and Addiction, gli autori parlano di “selfitis” e hanno sviluppando la prima scala di valutazione, che sembrerebbe avere tre livelli di gravità: borderline (scattare selfie almeno tre volte al giorno, senza postarli sui social network), acuto (scattare foto di se stessi almeno tre volte al giorno e postare ciascuna delle foto sui social media) e cronico (bisogno incontrollabile di fare autoscatti 24 ore su 24, postando le foto sui social più di sei volte al giorno).
I ricercatori hanno coinvolto 400 indiani, Paese che ha il maggior numero di utenti su Facebook e di morti a causa di selfie pericolosi. È stata così costruita una “scala della selfite”, facendo riferimento a diverse dimensioni, tra cui ricerca di attenzioni, fiducia in se stessi, modificazione del tono dell’umore e competizione sociale.
In realtà quali sono i segnali a cui fare attenzione?
Ci sono dei campanelli d’allarme a cui fare attenzione, tra cui:
– Non si riesce a fare a meno degli autoscatti, tanto che l’attività diventa eccessiva e condizionante, per cui in qualunque occasione si pensa ripetutamene a quale selfie poter scattare.
– Non si riesce ad attendere, finendo per fare autoscatti in ogni momento e contesto, anche a scuola, a lavoro o in situazioni inopportune.
– Si sente un bisogno incontrollabile di fare selfie e, se si è impossibilitati a farlo, ci si sente frustrati e irritati.
– L’attività interferisce e toglie il tempo alle altre attività quotidiane, come ad esempio lo studio, lo sport, le uscite con gli amici, ecc.
– Si sente l’esigenza di dover scattare foto anche in luoghi pericolosi o in posizioni stravaganti e inappropriate, rischiando anche di farsi del male.
– Si immaginano i commenti e i mi piace che si possono ottenere con quello scatto.
– Si tende a vedere i propri difetti e non si è mai soddisfatti degli autoscatti, tanto che si cercano metodi innovativi per migliorare sempre di più le foto.
– Si utilizzano appositi programmi, filtri e strumenti per cercare di modificare le foto e apparire al meglio.